Chi cerca casa in affitto rischia di finire a sua insaputa nel mirino degli investigatori privati
Chi cerca casa in affitto rischia di finire a sua insaputa nel mirino degli investigatori privati ingaggiati dalle agenzie immobiliari. È quanto accaduto a un cittadino elvetico, che facendo richiesta per affittare un appartamento, ha poi saputo fortuitamente che la società immobiliare a cui si era rivolto aveva incaricato una società di investigazione privata per ottenere informazioni molto dettagliate su di lui e sulla sua famiglia.
La scoperta è stata fatta solo a seguito dell’incartamento che l’agenzia immobiliare aveva restituito all’ignaro cliente, in cui egli ha ritrovato una relazione sui suoi dati personali redatta da una società privata, che riportava molte più informazioni di quelle solitamente richieste nei moduli di affitto.
Inviata per errore allo sventurato cliente, la relazione di tre pagine includeva infatti dettagli sui precedenti luoghi di residenza, sull’occupazione, sulla formazione e sull’attività professionale, oltre a dati finanziari come il reddito e la dichiarazione dei redditi, nonché ricerche sul suo carattere, la reputazione e le lamentele del vicinato.
“Benché le agenzie immobiliari abbiano il diritto di raccogliere dati per valutare i candidati” – ha dichiarato Florence Hanguely, vice commissario federale per la protezione dei dati e l’informazione svizzera – “tale raccolta deve rispettare determinate regole”. In ogni caso, le informazioni richieste devono essere necessarie per la conclusione del contratto di locazione, come l’identità, i dati di contatto, le informazioni finanziarie e la solvibilità. In secondo luogo, in caso di errori nelle informazioni ottenute, l’interessato ha il diritto di chiederne la rettifica. Può inoltre richiedere una copia di tutti i dati raccolti su di lui, nonché l’origine e il destinatario di tali dati. Se le informazioni sono state comunicate solo per una specifica abitazione, è possibile chiedere che vengano distrutte.
Alla luce del preoccupante episodio accaduto nella Confederazione Svizzera (che non fa parte dell’UE) c’è sicuramente da chiedersi cosa comporterebbe una simile prassi da parte di un’agenzia immobiliare in Italia, dove invece vige il GDPR.
A meno che non sia lo stesso cliente a dare il proprio consenso per essere soggetto ad attività investigative sul suo conto, in mancanza di un legittimo interesse che possa giustificare legalmente la raccolta di dati personali così delicati, una tale condotta violerebbe sicuramente l’art. 5 comma 1 del Regolamento europeo, dove vengono riportati i principi applicabili al trattamento dei dati personali. Nello specifico la lettera a) comma 1 dell’art. 5 prevede che i dati personali siano “trattati in modo lecito, corretto e trasparente nei confronti dell’interessato («liceità, correttezza e trasparenza»)”.
E dato che il malcapitato cittadino svizzero è venuto a conoscenza delle investigazioni svolto su di lui solo per un errore nell’invio dell’incartamento, è evidente che in un caso del genere incaricare un’agenzia di investigazione privata senza avvisare in alcun modo l’interessato sarebbe senza dubbio lesivo del principio di trasparenza e correttezza nei confronti dello stesso in violazione del GDPR.
Ma non pochi sarebbero i contrasti con altre lettere dello stesso comma 1 dell’art.5, come ad esempio la lettera f) che prevede di garantire un’adeguata sicurezza dei dati personali, compresa la protezione, mediante misure tecniche e organizzative adeguate, da trattamenti non autorizzati o illeciti e dalla perdita, dalla distruzione, dal danno o dalla divulgazione accidentali. E poiché quelle informazioni sono giunte al cliente a causa dell’errore umano, nulla avrebbe impedito, vista la negligenza e l’imperizia dell’agenzia nel loro utilizzo, che potessero essere recapitate anche ad altri soggetti estranei all’interessato.
Insomma, è certo che un tale impiego dei dati personali di un potenziale affittuario sarebbe compiuta in violazione del Gdpr e porterebbe quasi sicuramente a sanzioni da parte dell’autorità Garante della privacy.
Nicola Bernardi, presidente di Federprivacy (Nòva Il Sole 24 Ore)