La telefonata dell’infermiera che non rivela informazioni sensibili al marito non vìola la privacy della paziente
L’ospedale che contatta un familiare per urgenti finalità terapeutiche senza rivelare cause e contenuti del trattamento sanitario non vìola la privacy della paziente. Come riporta il Sole 24 Ore del 5 aprile 2022, il tribunale di Ravenna ha infatti annullato l’ordinanza-ingiunzione dell’Autorità per la Protezione dei dati personali, cancellando la sanzione di 50 mila euro che era stata precedentemente inflitta all’Azienda sanitaria locale.
Secondo il giudice monocratico civile, la telefonata al marito di una donna reduce da un intervento di interruzione di gravidanza da parte di un’infermiera preoccupata di avvertire la paziente dell’urgenza di assumere farmaci profilattici del tromboembolismo non integra una violazione del Gdpr e neppure della Legge 194/78 sull’aborto.
Nell’infliggere la sanzione l’Authority aveva invece ritenuto che la condotta dell’infermiera aveva comportato “l’esplicita correlazione da parte di un soggetto terzo non legittimato tra l’interessata e un determinato reparto di degenza indicativo di uno specifico stato di salute (in violazione degli artt. 5 par. 1 lett. a) e 9 del Regolamento)”.
Nel suo ricorso l’Ausl romagnola ha sottolineato però che nessun dato sensibile e/o sanitario era stato rivelato al familiare, e che peraltro la telefonata rimediava all’allontanamento volontario della paziente prima di aver ricevuto le istruzioni sulle cure preventive da seguire. Peraltro nella comunicazione telefonica l’infermiera si era solo qualificata, invitando la paziente attraverso il marito a contattarla per una terapia.
Il giudice civile di primo grado ha pertanto stabilito che “nessun dato di registrazione a servizi di assistenza o a una prestazione sanitaria; nessun codice che identificasse la paziente a fini sanitari; nessuna informazione risultante da esami o controlli né alcuna informazione su malattie, disabilità, rischi di malattie, stato fisiologico o biomedico riferiti alla paziente o trattamenti clinici cui la stessa si era sottoposta" era stato rivelato nella comunicazione, e che il reparto di ginecologia "non è necessariamente un reparto di degenza ed al suo interno non necessariamente ci si sottopone ad un intervento volontario di interruzione di gravidanza”.
Infine, scrive il giudice “non risulta violato neppure l’obbligo di riservatezza che la Legge 194/78 impone con riguardo alla interruzione volontaria di gravidanza non essendo stata fornita al marito della paziente alcuna informazione che potesse ricondurre ad un intervento di interruzione volontaria di gravidanza, ignorata dal marito al momento della telefonata.”