Assetto delle retribuzioni fra privacy, trasparenza della PA e gender pay gap
Fra i dati personali che più facilmente richiamano l’attenzione rientrano quelli afferenti alle retribuzioni percepite nei diversi settori e ai diversi livelli. Tale attenzione, che in parte alimenta anche un deteriore gossip, è funzione in primo luogo del deprecabile gap gender nella struttura delle retribuzioni ma anche della trasparenza cui sono chiamati la Pubblica Amministrazione e diversi settori della sfera privata, come le società quotate, nonché dell’esigenza di analisi di supporto ai policy maker per l’elaborazione di norme quadro per la contrattazione fra le parti sociali e per la giusta retribuzione ex art. 36 della nostra Costituzione.
Qualcuno ancora ricorderà come l’iniziativa dell’Agenzia delle Entrate di rendere consultabili le dichiarazioni dei redditi venne, nel 2008, dichiarata illegittima dal Garante privacy (provv. Doc web n. 1512255).
Con il senno di poi, sarebbe inimmaginabile una iniziativa del genere ai tempi del GDPR, ancorché’ autorevoli osservatori prospettino la validità ancor oggi di una totale disclosure dei redditi con argomenti di non poco momento: la possibilità di i) un controllo diffuso sul contributo di ogni cittadino alle finanze pubbliche e ii) verificare la congruità del ventaglio delle retribuzioni, ritenuta socialmente preminente rispetto alla inconoscibilità dei redditi dei singoli.
In questa sede si intende fornire un sintetico sguardo alla materia oggi in Italia e spunti per il futuro, dallo specifico punto di vista della tutela dei dati personali, circa la pubblicità sui redditi percepiti da ciascun cittadino.
Il d. lgs. n. 33/2013 (DLTR), norma che regolamenta la trasparenza degli enti pubblici, dispone che i diversi enti che compongono la P.A. provvedano a rendere pubbliche tutta una serie di informazioni sulla loro attività, adempimento su cui vigila l’ANAC. Per identificare le entità che rientrano nel perimento della pubblica amministrazione, il DLTR fa rimando a quelle indicate nell'articolo 1 c. 2, del d. lgs 165/2001 che regola l’ordinamento del lavoro nelle pubbliche amministrazioni, comprese le autorità portuali, nonché le autorità amministrative indipendenti di garanzia, vigilanza e regolazione. La stessa esigenza di definire quali soggetti rientrino nella cerchia della P.A. è indicativo del fatto che non tutte le entità che svolgono attività di tenore pubblico rientrino ex-lege nel perimetro della trasparenza.
Sullo specifico della situazione economica dei singoli, a perimetrare nel tempo i dati sui compensi da rendere noti, a seconda del ruolo coperto, sono intervenuti il TAR, attivato nel 2017 da alcuni dirigenti del Garante privacy, l’ANAC e la Corte Costituzionale (sentenza 20/2019) con riguardo alla definizione della platea di soggetti per i quali va resa periodicamente nota anche la situazione patrimoniale oltra a quella reddituale. Per quanto qui in esame, oggi le PP.AA. coinvolte hanno l’onere di pubblicare, in apposita sezione dei loro portali destinata alla trasparenza, fra l’altro le informazioni sulla situazione patrimoniale e sui compensi per i titolari di incarichi dirigenziali apicali nonché per i dirigenti non apicali sui soli compensi riconosciuti. I maggiori oneri informativi a carico dei livelli dirigenziali apicali sono stati riconosciuti come non irragionevoli, nella citata sentenza della Suprema Corte, in relazione ai compiti di elevatissimo rilievo svolti. Va aggiunto che i compensi nel settore pubblico, non possono in genere superare il limite di 240.000 euro, limite fissato a suo tempo dall’art.13.1 del d.l. 66/2014.
Oggi, come si può facilmente rilevare surfando nel web, sui siti di una molteplicità di organismi che svolgono funzioni pubbliche tali informazioni sono presenti: di norma in maniera esaustiva, a volte in maniera non completa rispetto a quanto previsto, a parità di tipologia di P.A.; altre volte l’informativa è resa in base a ulteriori norme come per la RAI (art. 63 del d lgs. 208/2021 ), oppure in adesione allo spirito della norma pur non essendovi un obbligo per talune organizzazioni; in quest’ultimo caso anziché con un elenco analitico per dirigente delle retribuzioni percepite, tramite un prospetto che riporta in sintesi, per le diverse categorie in cui si articola la dirigenza, numero di elementi interessati e valore minimo, medio e massimo della retribuzione annua; talora, non essendovi un obbligo e pure essendo pubblica la funzione svolta, nulla viene pubblicato.
Non è questa la sede per formulare giudizi su questa diversificata tipologia di comportamenti; peraltro, tale assetto induce a formulare le seguenti osservazioni:
a) chi svolge incombenze pubbliche dovrebbe operare secondo comportamenti e linee uniformi e, quindi, andrebbe armonizzata l’informazione da rendere pubblica;
b) a fronte di organizzazioni della medesima tipologia, si osservano compensi per la dirigenza che si discostano, a volte in maniera sensibile, sebbene i compiti prima facie siano di natura omogenea;
c) con la sopravvenienza del GDPR, forse questo aspetto potrebbe essere innovato, almeno per la dirigenza non apicale, contemperando le esigenze di trasparenza e di riservatezza tramite il ricorso alle citate tabelle sinottiche riepilogative adottate da alcuni enti, anche incrementando le informazioni statistiche non nominative rese con ulteriori indicatori quali: volume totale della voce di spesa, la mediana e/o la moda e/o – specie se la compagine della dirigenza è numerosa – il cd. box plot che sulla base di numeri di sintesi (minimo, 1° quartile (Q1), mediana, 3° quartile (Q3), massimo) – fornisce una prima descrizione delle caratteristiche salienti di una popolazione.
A maggior ragione ora che è intervenuta anche la direttiva UE n. 970/2023 sul principio della parità di retribuzione e la trasparenza retributiva (PRTR) che prevede misure intese a rafforzare l'applicazione a) del principio della parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore tra uomini e donne («principio della parità di retribuzione») e b) del divieto di discriminazione.
Premesso che in Italia l’art. 28 del d.lgs. 198/2006 (codice delle pari opportunità) già prevede un divieto di discriminazione retributiva, secondo la direttiva PRTR tutti i datori di lavoro – sia del settore pubblico che privato – dovranno prevedere schemi di remunerazione mirati a un’eguaglianza salariale per lavori identici o di valore comparabile, indipendentemente dal genere del lavoratore. Ai lavoratori dovrà essere garantita l’accessibilità alle informazioni in merito al livello retributivo individuale e ai livelli retributivi medi, ripartiti per sesso e categorie tra loro equiparabili.
Per i datori di maggiori dimensioni sono poi previsti, a partire dal giugno 2027 e con cadenze temporali diverse a seconda della dimensione, obblighi di informazione e di elaborazione di report dettagliati relativi al gender pay gap nelle sue diverse componenti retributive. Qualora da tale report dovesse emergere un divario retributivo di genere non giustificato pari o superiore al 5%, sono prefigurati meccanismi per superare tale situazione.
Per quanto attiene alla privacy, secondo la nuova direttiva ai lavoratori non può essere impedito di rendere note le proprie retribuzioni; inoltre, se dalla informativa periodica che i datori di lavoro devono rendere può derivare la conoscibilità della retribuzione di singoli lavoratori, gli Stati membri possono decidere che solo i rappresentanti dei lavoratori, l'ispettorato del lavoro o l'organismo per la parità abbiano accesso a tali informazioni.
In conclusione, il recepimento della direttiva PRTR (da effettuare entro il 7 giugno 2026) potrebbe costituire occasione anche per rendere maggiormente coerenti le previsioni sulla trasparenza in tema di retribuzioni nel settore della pubblica amministrazione, alla luce del nuovo corso impresso alla privacy dal GDPR ma senza far venir meno il principio della casa di vetro in cui opera la P.A.