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Il commento tenta di compiere una summa delle pronunce in tema di "eredità digitale" e sul bilanciamento tra diritto alla riservatezza e la successione nei rapporti digitali nel panorama italiano. L'ordinanza cautelare del Tribunale di Milano del 9 febbraio 2021 , per prima si è soffermata su un'analisi più della normativa relativa al trattamento di dati personali che della disciplina delle successioni, riconoscendo ai dati facenti capo al defunto e custoditi all'interno di un account allo stesso riconducibile, la natura di beni oggetto di devoluzione mortis causa. Allo stesso modo le pronunce dei Tribunali di Bologna e di Roma hanno chiarito il dibattito, consolidando l'orientamento espresso dal Tribunale meneghino.

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Per la prima volta in Italia il Tribunale civile di Milano ha ordinato in via cautelare d'urgenza a Apple di fornire ai genitori di un ragazzo, morto in un incidente stradale un anno fa, il recupero dai suoi account dei contenuti digitali del figlio, andati persi sul telefonino distrutto nello schianto ma sincronizzati online (e dunque recuperabili) sulla "nuvola-cloud" della compagnia.

Apple deve prestare assistenza alla vedova per il recupero dei dati dell'account iPhone del marito morto improvvisamente, "anche mediante consegna delle credenziali di accesso", perché la volontà di recuperare video e foto, anche dei e per i figli piccoli, rientra tra quelle "…ragioni familiari meritevoli di tutela" indicate dal Codice della privacy (Dlgs n. 101/2018). Lo ha deciso il Tribunale di Roma, ordinanza del 10 febbraio 2022 (Rgn 63936/21), accogliendo il ricorso di una mamma contro Apple Distribution International Limited.

Per la successione dei beni digitali il testamento è la scelta migliore. È questo il suggerimento fornito dallo Studio n. 1/2023 del Consiglio nazionale del notariato.

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Il Tribunale di Milano con ordinanza del 10 febbraio 2021 ha riconosciuto ai genitori del figlio defunto il diritto di accedere ai contenuti del suo smartphone archiviati sul cloud. Il Giudice ha motivato la propria decisione sul presupposto che mancava la prova in giudizio (Apple era, peraltro, rimasta contumace) di un espresso divieto scritto del de cuius circa la destinazione dei diritti relativi ai suoi dati personali; mancava, in sostanza, il testamento digitale disciplinato dall’art. 2 terdecies del D.Lgs. 196/2003 (c.d. Codice Privacy).

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