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Le risposte date lo scorso 21 aprile dal ministro Paola Pisano sulla app ‘Immuni’ “non sono completamente allineate con altre dichiarazioni espresse nella stessa giornata, in particolare da parte del Commissario Straordinario Domenico Arcuri”. E’ quanto scrive ANORC (Associazione Nazionale degli Operatori e Responsabili della Custodia dei contenuti digitali) in una lettera inviata oggi proprio al ministro per l’Innovazione a cui si chiede di fare chiarezza su alcuni punti per “garantire un pieno processo di trasparenza che dovrebbe essere alla base di quel patto collettivo che si richiede in questi giorni al popolo italiano, in modo che si possa sperare di raggiungere in futuro la soglia del 60-70% di diffusione necessaria per garantire l’efficacia dell’app Immuni”.

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La geolocalizzazione, quale misura di prevenzione del contagio da Covid-19, è possibile, ma solo a tre condizioni: deve avere una base giuridica normativa; deve rispettare i principi di proporzionalità; deve essere garantito il diritto di difesa in via giudiziale. Questa la sintesi della dichiarazione ufficiale del Comitato Europeo per la protezione dei dati (Edpb), che è intervenuto il 16 marzo 2020 con una dichiarazione ufficiale del presidente Andrea Jelinek, il quale ha indicato i parametri generali per bilancio l’interesse alla salute pubblica e il diritto alla protezione dei dati personali.

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Perché i trattamenti di dati personali effettuati nell’ambito dell’utilizzo delle certificazioni verdi di cui al decreto legge del 22 aprile 2021, n. 52 possono violare il GDPR? Prima di addentrarci nelle questioni tecniche alcune considerazioni che ancora una volta denotano la scarsa attitudine ad affrontare i problemi con un approccio olistico, trascurando aspetti fondamentali che alla fine fanno solo perdere tempo a chi lavora con impegno e professionalità e fanno ulteriormente perdere credibilità ai proponenti.

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Il datore di lavoro può offrire ai propri dipendenti, anche sostenendone in parte i costi, l’opportunità di effettuare i test sierologici, ma non può imporli. L’accertamento sanitario deve essere una scelta del dipendente oppure deve essere il medico a chiederlo. L’indicazione arriva dal Garante della privacy ed è particolarmente utile in un momento di riapertura delle attività produttive. Il chiarimento è stato fornito dall’Autorità sotto forma di Faq, delucidazione che si va ad aggiungere a quelle che il Garante aveva già dato qualche settimana fa.

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Continua la privacy in versione light causa Covid. L'articolo 19 del decreto legge 183/2020 (Milleproroghe) rinvia al 31 luglio 2021 il termine che legittima lo scambio dei dati tra autorità pubbliche (sanità, protezione civile, enti locali ecc.) ed enti attuatori (anche privati), semplifica l'informativa e le autorizzazioni a trattare i dati.

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Con l’arrivo dei vaccini anti-Covid-19 si discute dell’opportunità di iniziare a implementare soluzioni, anche digitali (es. app), per rispondere all’esigenza di rendere l’informazione sull’essersi o meno vaccinati come condizione per l’accesso a determinati locali o per la fruizione di taluni servizi (es. aeroporti, hotel, stazioni, palestre ecc.). A tale proposito, nel caso si intenda far ricorso alle predette soluzioni, il Garante per la privacy richiama l’attenzione dei decisori pubblici e degli operatori privati italiani sull’obbligo di rispettare la disciplina in materia di protezione dei dati personali.

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Il Garante per la privacy ritiene necessario fornire alcune precisazioni in merito alle dichiarazioni rese dal Presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, nei giorni scorsi, che erroneamente attribuisce agli interventi del Garante l’impossibilità di utilizzare certi dati sanitari per contrastare l‘emergenza da Covid-19.

Preoccupa il fenomeno che si sta verificando in Abruzzo su dettagliate liste di nomi, cognomi, date di nascita e indirizzo di residenza di persone perlopiù di etnia rom contagiate dal Coronavirus che sono state diffuse e che continuano a circolare su gruppi WhatsApp ed altre chat su internet.

Con le numerose criticità sui temi della privacy che sono emerse negli ambienti di lavoro durante l’emergenza sanitaria da Covid-19, una figura che si è rivelata particolarmente proattiva e che ha fatto sentire il suo peso è quella del Data Protection Officer. Ad evidenziarlo è un sondaggio condotto dall’Osservatorio di Federprivacy che ha già raccolto i feedback da un campione di quasi 1.000 Dpo e altri addetti ai lavori che in questo periodo vivono quotidianamente in prima persona tutte le difficoltà che le aziende stanno affrontando per cercare di conciliare la sicurezza con la protezione dei dati personali.

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Non abbiamo fatto in tempo a scrollarci dietro le spalle due anni di pandemia da Covid-19, che a peggiorare la situazione è arrivata pure la guerra in Ucraina. Quanto è vero che viviamo in tempi difficili e che la ricerca di una vita serena si fa sempre più complicata, spesso le ripercussioni della situazione generale si avvertono anche nelle attività lavorative, comprese quelle dei data protection officer e degli altri addetti ai lavori che operano nel campo della privacy.

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Privacy Day Forum 2024: il servizio di Ansa

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