La diffusione del video del neonato abbandonato? un indicatore dello ‘stato di salute’ della privacy nel nostro Paese
Si sa, talvolta c’è un’ironia crudele in ciò che accade. Proprio nel giorno del Data Privacy Day, ovverosia la giornata europea della protezione dei dati personali, telegiornali e testate online hanno pubblicato un video delle telecamere di sicurezza in cui una donna abbandona un neonato al pronto soccorso di Aprilia.
(Nella foto: Stefano Gazzella, Delegato Federprivacy nella provincia di Gorizia)
La violazione delle regole deontologiche è stata talmente manifesta che il Garante Privacy ha pubblicato nello stesso giorno un comunicato stampa con un richiamo, riservandosi di accertare eventuali violazioni e di svolgere interventi di propria competenza.
«Le immagini si pongono in evidente contrasto con le disposizioni della normativa privacy e delle regole deontologiche relative all’attività giornalistica, le quali - pur salvaguardando il diritto/dovere di informare la collettività su fatti di interesse pubblico - prescrivono agli operatori dell’informazione di astenersi dal pubblicare dettagli relativi alla sfera privata di una persona.»
Lo giorno è stata espressa anche una posizione di “sconcerto” da parte del Coordinamento per le pari opportunità dell’Ordine nazionale dei giornalisti, anticipando l’intervento dei consigli di disciplina territoriali competenti per l’apertura di un procedimento disciplinare nei confronti delle testate responsabili della diffusione del video.
Il Testo Unico dei doveri del giornalista, è bene ricordare, richiama espressamente il contemperamento dell’interesse pubblico della notizia con la protezione della sfera privata dell’individuo e dei diritti fondamentali della persona. E questo viene ben espresso all’interno dell’allegato 1 del citato TU, relativo alle Regole deontologiche relative al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica, e dal principio di essenzialità dell’informazione. Detto principio richiede infatti che l’informazione, e dunque qualsivoglia contenuto comunque pubblicato o ridiffuso, debba essere indispensabile “in ragione dell’originalità del fatto e della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto, nonché della qualificazione dei protagonisti”. Senza possibilità di deroga alcuna, poiché fra diritti di pari rango quali la libertà di cronaca e di informazione (prevista dall’art. 21 Cost.) e la tutela dei diritti inviolabili dell’individuo quali la dignità e la protezione dei dati personali dell’individuo (prevista dall’art. 2 Cost.) non può esservi eccezione o tirannide alcuna, ma un proporzionato bilanciamento.
Quanto accaduto, nonché alcuni commenti rilevati attraverso i social network in cui si riteneva la donna “naturalmente oscurata” o comunque “non identificabile”, forniscono una rappresentazione plastica dello stato di salute della privacy nel nostro Paese. E una sostanziale dispercezione circa il valore del citato principio di essenzialità, il quale è presidio di tutela affinché non vi sia un’invasione sproporzionata della sfera privata individuale. E così nel quotidiano assistiamo al fenomeno della gogna mediatica, a sovraesposizioni indebiti ed eccessi che spesso si vogliono far passare per “peccati veniali” o addirittura si vorrebbero giustificare.
Non possiamo che notare con rammarico che la cultura della privacy è ben lungi dal potersi dire integrata in una più ampia cultura di cittadinanza digitale e spesso giace più nelle intenzioni. Il timore è che ora si possa andare incontro all’ennesimo intervento di micromanagement normativo, sperando che la normazione possa da sola cambiare una società, o che un intervento esemplare possa dirsi sufficiente. Ma è la domanda di quei contenuti non essenziali che esprime la sottomissione dell’offerta mediatica a quella prurient curiosity che già segnalavano Warren e Brandeis nel loro “The Right to Privacy” del 1890.
E dunque ciò che forse è richiesto non è fare la legge, ma educare la società proprio su queste tematiche di data protection. Un lavoro non da poco, ma che dovrebbe essere partecipato tanto dalle istituzioni quanto da associazioni di categoria e professionisti della privacy, e non solo. Perché ciò di cui si sta parlando è un diritto e una libertà fondamentale. Che forse è stato posto fin troppo al ungo in secondo piano o finanche osteggiato. E queste ne sono le naturali conseguenze.