Il quesito narra del rifiuto - opposto dai dipendenti di un titolare del trattamento - di firmare, per accettazione, l’autorizzazione al trattamento dei dati e chiede come si deve procedere se un dipendente non accetta di essere incaricato.
Ai fini della soluzione del caso, può citarsi il principio espresso dal Garante per la protezione dei dati nella nota 23 maggio 2000, indirizzata all’Anci (
www.garanteprivacy.it, doc. web n. 40229, alla cui lettura integrale si rinvia). L’Autorità di controllo formula le seguenti statuizioni (opportunamente sintetizzate e aggiornate al GDPR):
a) necessità per organismi complessi di designare come autorizzati al trattamento i dipendenti;
b) indispensabilità di tale individuazione, in quanto permette di considerare legittimo il flusso delle informazioni personali nell´ambito degli uffici e tra i dipendenti dell´amministrazione titolare del trattamento.
Sulla base di queste considerazioni, l’Autorità prosegue sottolineando che la designazione ad incaricato del trattamento “non comporta l´attribuzione di particolari compiti o responsabilità in capo al personale, ma costituisce un riconoscimento della legittimità delle operazioni di trattamento di dati collegate all´ufficio a cui il dipendente risulta assegnato e alle specifiche mansioni ad esso attribuite, chiarendo per ogni impiegato quali sono le informazioni cui può avere accesso e rafforzando i già previsti obblighi del segreto d´ufficio”.
Tale constatazione vale anche per gli “autorizzati al trattamento”.
Sulla base di essa si può inequivocabilmente concludere che la autorizzazione al trattamento è un atto di “riconoscimento”, il cui perfezionamento non è subordinato alla espressione di una volontà adesiva da parte del dipendente.