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Eccessivo fotosegnalare un minore perché sprovvisto di valido biglietto di viaggio

È eccessivo scattare foto al passeggero del trasporto pubblico che non ha un biglietto valido per contestargli la sanzione amministrativa. A questo risultato si giunge attraverso un’analisi del flusso dei dati nel caso in cui non ci sia un archivio fotografico per fare il raffronto delle immagini e il rintraccio del nome. Altra questione è la raccolta di prove per contestare reati.

La questione del trattamento delle fattezze dei trasgressori di norme del traporto pubblico è emersa a proposito del caso di minori fotografati nel corso di una contestazione di una sanzione amministrativa per evasione di pochi centesimi di euro (incompleto pagamento del biglietto su mezzi di trasporto pubblico).

Il quesito per gli addetti ai lavori ha riguardato liceità, legittimità e correttezza del trattamento dell’immagine (fotografie), finalizzato al riconoscimento dei passeggeri sforniti di idoneo titolo di viaggio, che rifiutino di fornire le proprie generalità oppure declinino generalità non accompagnate da documento di identificazione; ciò all’interno delle finalità di rilevazione, prevenzione e controllo delle infrazioni e all’acquisizione di prove da utilizzare sia per il procedimento amministrativo relativo alla sanzione.

Seguendo il metodo di risposta della ricerca della regola predeterminata dalla norma si arriva allo sconsolante risultato: assenza di una regola espressa.

Il passo successivo? Individuare le condotte plausibili, nel quadro di principi generali.

La ragionevole conclusione è, scartati i casi (tanti) in cui il trattamento sia eccedente,  scrivere una valutazione di impatto privacy; inviare una istanza di consultazione preventiva al Garante per la protezione dei dati personali; redigere un protocollo operativo per il personale ispettivo e per la trattazione dei dati personali.

Prima di entrare nel merito, è opportuna una premessa. La situazione, di cui stiamo parlando, è emblematica del problema della privacy, e cioè il problema del rapporto tra “tecnologia”, “finalità” e “garanzie”.

Il rapporto tra “mezzo” e “fine” passa, di solito, attraverso un giudizio di “giustificazione” e l’incremento della potenza del “mezzo” ammalia e tenta, tanto da irretire la ponderazione sulla qualità e quantità del “mezzo”.

Altrimenti detto, abbiamo:

1) (mezzo) tecnologia per fotografare in un attimo chi ci sta di fronte; l’ispettore dell’azienda dei trasporti può fotografare chi presuntivamente non abbia pagato il biglietto (o almeno non abbia pagato il biglietto giusto);

2) (fine) dare la sanzione pecuniaria amministrativa ai trasgressori; disincentivare la recidiva e l’emulazione da parte di terzi (prevenzione speciale e generale).

A questo punto bisogna, però, fissare i “margini della giustificazione” (ovvero il quadro delle garanzie).

Si pensi, per assimilare il concetto, all’operazione grafica di giustificare un testo mentre si scrive un documento con l’elaboratore elettronico: si devono fissare i margini e l’interlinea e così via (cioè l’ambito della giustificazione).

Lo stesso capita al nostro caso: quali sono i margini che giustificano l’uso della tecnologia per assicurare il conseguimento di un interesse?

Questo quesito, che appare come un punto di partenza, è, a voler ben vedere, un punto di arrivo: significa che non è la tecnologia (il mezzo) ad avere l’ultima parola.

Ad avere la parola decisiva è chi fissa il margine della giustificazione, ovvero chi fissa le condizioni alle quali quella tecnologia può essere usata e le condizioni alle quali la tecnologia va disarmata.

A questo punto volgiamo lo sguardo alle norme esistenti, precisando che quanto segue è illustrato con riferimento al procedimento di irrogazione di sanzioni amministrative (e non, invece, alla raccolta di dati ai fini dell’accertamento e repressione di reati).

Si deve partire dalla base, illogico fare diversamente.

E allora partiamo dalla “base giuridica”.

Salvo lacune nel rintraccio, abbiamo l’articolo 6 del Gdpr, e precisamente la lettera e) del primo paragrafo: “trattamento necessario per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all'esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento” .

Certamente, il compito svolto dall’azienda di trasporto pubblico, per il tramite dei suoi ispettori, attiene ad un interesse pubblico e, per la parte sanzionatoria, rappresenta anche l’esercizio di un pubblico potere.

Concorre a confortare e dettagliare questa ricostruzione l’articolo 13 della legge 689/1981: “gli  organi addetti al controllo sull'osservanza delle disposizioni per  la  cui  violazione è prevista la sanzione amministrativa del pagamento  di  una  somma di denaro possono, per l'accertamento delle violazioni   di   rispettiva   competenza,  assumere  informazioni  e procedere  a  ispezioni  di  cose  e  di luoghi diversi dalla privata dimora,  a  rilievi  segnaletici, descrittivi e fotografici e ad ogni altra operazione tecnica”.

A questo articolo 13 fanno appello le leggi regionali in materia di sanzioni amministrative, in generale, e in materia di sanzioni per violazione delle disposizioni in materia di trasporto pubblico, in particolare.

Si noti che il riferimento alla legge e al regolamento è imprescindibile ai sensi dell’articolo 2-ter del Codice della privacy.

Quindi, l’ispettore, in generale, può effettuare rilievi fotografici per applicare sanzioni amministrative e ciò perché abbiamo la disciplina normativa che lo dichiara.

È questa, con riferimento al caso che stiamo trattando, la conclusione ultima del ragionamento?

Naturalmente no. Abbiamo evidenziato graficamente l’aggettivo “necessario”, che troviamo nell’articolo 6, paragr. 1, lett. e) Gdpr.

In sostanza, la tecnologia “in sé” è avallata dall’articolo 13 legge 689/1981, ma il Gdpr definisce il margine (etimologicamente la “sponda” del fiume della tecnologia che scorre impetuoso) utilizzando una valutazione “relativa”, distinguendo la tecnologia “necessaria” da quella “non necessaria”.

Per capire l’effettivo significato dell’aggettivo “necessario” torna utile la radice della parola: è “necessario” qualcosa che non può essere ritirato, qualcosa che non può essere tolto, che non può venire azzerato.

Perchè è necessario il riscontro del requisito della “necessità” (il bisticcio delle parole è voluto)?

La risposta è che il trattamento è una lama senza l’impugnatura: si deve scegliere il taglio che fa meno male o che si accetta perché si ritiene che ci sia un interesse prevalente.

Fotografare le persone e conservare le fotografie potrebbe preludere a schedature, furti di identità, uso indebito dell’immagine e così via. Quando che si può accettare questo male minore?

Si può considerare necessario identificare il soggetto da sanzionare amministrativamente? Sono domande queste tutte riconducibili ai principi della responsabilizzazione (articolo 5 Gdpr), principi che sovrastano qualsiasi base giuridica.

Dunque, la risposta potrebbe essere affermativa (fotografare minori è il male minore, perché è maggiore l’interesse a punire i responsabili di illeciti e prevenire futuri illeciti, preservando le finanze pubbliche).

Ma è sempre necessario identificare il soggetto facendogli la fotografia?

Stessa domanda con parole diverse: quando è che per “andare avanti” nel procedimento amministrativo è necessario fotografare? Negli altri casi, visto che “si va avanti lo stesso”, non è necessario fotografare e allora (in relazione alle finalità amministrative) non si può e non si deve fotografare.

Lo stesso esito (non fotografare) si deve attestare quando il procedimento non può nemmeno essere avviato.

Esaminiamo i vari casi:

a) Tizio non dichiara le proprie generalità: il procedimento amministrativo non può nemmeno avere luogo; siamo, peraltro, di fronte al reato di cui all’articolo 651 codice penale; le fotografie non servono al procedimento amministrativo (tutt’al più al procedimento penale, ma è materia che esula gli obiettivi di questo articolo); chi non dichiara le generalità, probabilmente, verrà identificato all’esito del procedimento penale e, in quella sede, l’azienda di trasporto potrà chiedere i danni;

b) Tizio dichiara le generalità ed esibisce i documenti che ha con sé: il procedimento amministrativo va avanti. Certo il documento potrebbe essere falso, ma questo apre un diverso procedimento penale. Chi ha un documento falso, verrà identificato all’esito del procedimento penale e, in quella sede, l’azienda di trasporto potrà chiedere i danni;

c) Tizio dichiara le generalità e non esibisce documenti: il procedimento amministrativo inizia; ci si deve chiedere come raggiungere la certezza della identità del dichiarante; si devono, dunque, verificare le possibilità alternative alla fotografia; se queste alternative non sono fattibili, ci si deve chiedere se si ha la disponibilità di un archivio fotografico; se la risposta è negativa non serve a nulla (ai fini del procedimento amministrativo) la ripresa fotografica; se, invece, c’è a disposizione un archivio di fotografie unito a dati anagrafici, si deve passare alla valutazione del rischio ai sensi dell’articolo 36 Gdpr e 2-quinquiesdecies Codice della privacy.

Analizziamo l’ipotesi riportata sotto la lettera c), e cioè quella in cui Tizio dichiara i suoi dati identificativi, ma non esibisce il documento.

A riguardo di questo frangente,  ci si deve chiedere: esiste una tecnologia o una procedura alternativa in grado di permettere la verifica della identità dichiarata dal presunto trasgressore e ciò nel tempo (non lungo) delle operazioni di accertamento dell’illecito? O, ma è la stessa cosa, è possibile la verifica con altri mezzi della identità dichiarata dal presunto trasgressore nell’immediatezza dell’accertamento dell’infrazione?

Se la risposta è affermativa, allora non è necessario fotografare.

Si pensi, ad esempio, al minore, sprovvisto di documenti, che dichiara di essere Tizio e fornisce i dati dei genitori, i quali possono essere rintracciati telefonicamente e dare conferma dell’identità del minore.

Si considerino anche altre ipotesi: così, se il presunto trasgressore paga subito a mani dell’ispettore, non c’è necessità di fotografare.

Peraltro non si può trascurare che la fotografia è utile solo se c’è un archivio delle fotografie dei (di tutti o, almeno, di tanti) possibili trasgressori così da rendere fattibile il controllo sulle auto-dichiarazioni dei dati identificativi da parte del potenziale trasgressore.

Se, invece, non si sia in possesso di alcun archivio fotografico, non è fattibile l’accertamento dell’identità mediante raffronto della fotografia ripresa dall’ispettore con quelle in archivio.

In assenza di validi strumenti/procedure alternative ed in presenza di un archivio fotografico, si deve comunque passare alla regolamentazione dettagliata del trattamento (delle immagini fotografate).

L’azienda del trasporto pubblico dovrà:

  1. analizzare il trattamento ed elencare le ipotesi residue in cui si riprendono le fotografie del presunto trasgressore (e cioè i casi in cui il pubblico ufficiale non raggiunge certezza dell’identità di quest’ultimo);
  2. analizzare i rischi;
  3. trattandosi di trattamenti che presentano rischio elevato, si deve passare alla stesura di una valutazione di impatto privacy (articolo 35 Gdpr);
  4. peraltro ricorrendo una ipotesi di cui all’articolo 36, paragr. 5 Gdpr, occorre applicare l’articolo 2-quinquiesdecies del Codice della privacy, con conseguente istanza al Garante per la protezione dei dati personali per la definizione di misure e accorgimenti di garanzia (similmente a quanto accadeva nel regime ante Gdpr nei casi da sottoporre a verifica preliminare e similmente a quanto avvenuto per le bodycam indossate dal personale viaggiante sui treni, provvedimento n. 362 del 22 maggio 2018);
  5. dare compiute informazioni ai sensi dell’articolo 13 agli interessati;
  6. formare il personale sulle esatte modalità di utilizzo della tecnologia (comprese le regole di accesso ai dati conservati);
  7. fare verifiche periodiche sulla regolarità dei trattamenti, come sopra prefigurato.

A tutto ciò si deve aggiungere che, ai sensi dell’articolo 2-quater del Codice della privacy, sono possibili (auspicabili) regole deontologiche, che sarebbero condizione essenziale per la verifica della liceità e correttezza dei trattamenti, oltre che assicurazione di una parità di trattamento sull’intero territorio italiano.

È un quadro difficile, ma non è una matassa senza bandolo.

In questa cornice si inserisce la garanzia di quel minore, impaurito e inconsapevole, la cui immagine vale di più dell’importo della sanzione.

Ed è una cornice, che non compromette la conservazione della prova di chi commette il delitto di omesse generalità o di sostituzione di persona o altri reati.

Note Autore

Antonio Ciccia Messina Antonio Ciccia Messina

Professore a contratto di "Tutela della privacy e trattamento dei dati Digitali” presso l'Università della Valle d’Aosta. Avvocato, autore di Italia Oggi e collaboratore giornali e riviste giuridiche e appassionato di calcio e della bellezza delle parole.

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