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Gli obblighi di riservatezza che gravano sui lavoratori ai sensi dell’articolo 2105 del Codice civile, nonché secondo i principi generali di buona fede e correttezza, assumono rilevanza anche con riferimento al diritto dei colleghi alla riservatezza all’interno del posto di lavoro, la cui tutela è demandata al datore di lavoro. Su questo punto, la giurisprudenza è stata spesso chiamata a pronunciarsi sulla legittimità o meno della condotta dei dipendenti che, per difendersi in giudizio, registrino occultamente le conversazioni intercorse con o tra colleghi senza aver prima chiesto il loro consenso.

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Le procedure che trattano del tema delle risorse umane hanno un notevole impatto in termini di protezione dei dati personali; tra i vari processi da considerare vi è la cessazione del rapporto di lavoro, che implica una serie di adempimenti.

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Il processo di selezione del personale comporta necessariamente un trattamento dei dati personali, e il colloquio di selezione è una delle attività che richiedono il rispetto del GDPR.

Armonizzare le fasce di reperibilità tra pubblico e privato e mantenere alta l'attenzione sul tema della privacy dei dipendenti malati. Queste alcune delle valutazioni del Consiglio di Stato, che ha espresso il suo parere in merito allo schema di decreto ministeriale recante le modalità per lo svolgimento delle visite fiscali, in attuazione del "polo unico delle visite fiscali" introdotto dalla riforma Madia (artt. 18 e 22 del dlgs 75/2017). 

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L’uso dei dati biometrici come strumenti di accesso all’azienda non richiede un accordo sindacale ma richiede una valutazione di impatto privacy. Il monitoraggio dei costi dei telefoni aziendali richiede sia l’accordo, sia la valutazione di impatto. Sono solo due delle situazioni pratiche nelle quali può trovarsi il datore di lavoro: l’uso di strumenti informatici che possano comportare un controllo a distanza dell’attività lavorativa deve rispettare i paletti dettati dallo Statuto dei lavoratori (come modificato nel 2015) e dal Regolamento Ue sulla privacy, in vigore dal 25 maggio scorso.

Se si dovessero riassumere ad un non addetto ai lavori i criteri con e per i quali i controlli difensivi possano essere lecitamente disposti, si potrebbe concentrare l'attenzione sulla pronuncia della Grande Camera della Corte di Strasburgo (Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, in breve CEDU) del 17 ottobre 2019, per la chiarezza della sintesi che essa consente sull'argomento (a dire il vero, in generale non di agevole inquadramento).

L'articolo 41 della Costituzione prevede la libertà di iniziativa economica del datore di lavoro, purché esercitata nel rispetto della libertà e dignità umana. Quindi, il datore di lavoro detta le regole per l'esecuzione e la disciplina del lavoro, e ha il potere di controllare che l'attività lavorativa dei dipendenti sia eseguita conformemente alle direttive da lui impartite, e ciò avviene sempre più spesso attraverso tecnologie informatizzate e sistemi di Intelligenza Artificiale che comportano anche decisioni automatizzate. Organizzato un seminario online per il 20 aprile 2023.

La vicenda trae origine dal licenziamento di una dipendente alla quale era stata contestata la trasmissione a terzi di e-mail contenenti informazioni altamente riservate della società datrice di lavoro. La giurisprudenza torna a pronunciarsi sulla legittimità dei controlli del datore di lavoro sulla posta elettronica del dipendente. Questa volta è il Tribunale di Genova ad affrontare la questione, con sentenza resa lo scorso 14 dicembre, richiamando e facendo propri i principi recentemente elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di controlli difensivi alla luce dell'attuale formulazione dell'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, così come modificato dall'articolo 23 del Dlgs. n. 151 del 2015.

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In un recente provvedimento (13 maggio 2021 – doc. web. N. 9669974) l’Autorità Garante ha sanzionato un Comune per aver implementato un sistema di controllo della navigazione in internet senza aver reso ai lavoratori una informativa ai sensi dell’articolo 13 del Regolamento UE 679/2016. Il caso affrontato dal Garante ha preso spunto da una sanzione disciplinare irrogata a un lavoratore pubblico che utilizzava il computer del Comune, per finalità non lavorative. In particolare, per aver consultato Facebook, Youtube e altre pagine web.

La protezione delle informazioni personali e il rispetto della vita privata vale anche nel pubblico impiego dove permane, comunque, una ragionevole aspettativa di riservatezza. Questo è uno dei principi ribaditi nel provvedimento del Garante Privacy n. 190 del 13 maggio 2021 con il quale ha irrogato una sanzione da 84 mila euro al Comune di Bolzano per aver tratto illecitamente i dati dei propri dipendenti in violazione degli artt. 5, 6, 9, 88 e 35 del GDPR, nonché 113 e 114 del Codice Privacy.

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25 maggio 2023: il Privacy Day Forum al CNR di Pisa nel giorno del 5° anniversario del GDPR

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