Salve,
dovere professionale di un avvocato è quello di convincere il giudice della bontà delle proprie tesi, anche ricorrendo ad argomenti strumentali o retorici.
Il nostro ordinamento già con l’art. 598 c.p. prevede la non punibilità dei delitti contro l’onore costituita dall’inerenza delle espressioni offensive all’attività delle parti e dei difensori nell’ambito di procedimenti civili, penali e amministrativi. Ecco il testo della norma richiamata:
«non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori nei procedimenti dinanzi all’Autorità giudiziaria, ovvero dinanzi ad un’autorità amministrativa, quando le offese concernono l’oggetto della causa o del ricorso amministrativo».
L’intento è evidentemente quello di consentire il pieno esercizio del diritto di difesa senza temere di poter incorrere in violazioni di legge con il limite, tuttavia, che le espressioni utilizzate siano comunque teleologiche a sostenere le ragioni del proprio cliente.
Anche nell'ambito privacy è presente il medesimo criterio tanto è vero che nelle Regole deontologiche relative ai trattamenti di dati personali effettuati per svolgere investigazioni difensive o per fare valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale n. 12 del 15 gennaio 2019, troviamo l’art 2 comma 5 che prevede la possibilità di trattare i dati al fine di esercitare il diritto di difesa in sede giurisdizionale, sempreché ciò risulti strettamente funzionale all'esercizio del diritto di difesa, in conformita' ai principi di liceita', proporzionalita' e minimizzazione dei dati rispetto alle finalita' difensive (art. 5 del regolamento UE 2016/679).
Pertanto, venendo alla sua domanda, ove gli elementi quali l’origine raziale, il credo religioso e l’orientamento sessuale della controparte, assumano valenza argomentativa importante nell’ambito della strategia difensiva, il riferimento agli stessi sarà legittimo.
Saluti.