Ringrazio tutti per questo scambio di opinioni, che pone quesiti e soluzioni e vi chiedo di leggere queste mie righe collocandole nel contesto di una alea nella ricostruzione degli istituti. Il mio è un tentativo e una proposta di lettura, rimessa al pubblico approfondimento.
Ebbene, l'attuale situazione emergenziale rischia, come in altri frangenti, di mettere in competizione due aspetti, costringendoci a una scelta tragica, tipica dello stato di necessità: il sacrificio di un bene in nome di un bene superiore.
Al di là dello sconcerto per questo dilemma, bisogna, collocarsi nel “qui e ora”, nel “diritto vivente” e spostarsi sul piano pragmatico e scovare una via di sostanziale bilanciamento, senza pretendere di far combaciare le tessere dell’interpretazione sistematica delle norme, cosa che, come condivisibilmente detto dagli interlocutori di questo dibattito, è impossibile, se si considerano tutte le fattispecie in gioco.
Bisogna, quindi, chiedersi quale sia il bilanciamento sostenibile "oggi", nel momento in cui viviamo. Bisogna spostarsi dalla prospettiva interpretativa “a partire delle norme”, per arrivare alla realtà; bisogna, credo, porsi in cammino in un percorso che, tenendo sì conto delle disposizioni, si ponga come traguardo il bilanciamento, qui e ora, “attualmente sostenibile”, quel bilanciamento – qui e ora – “socialmente accettabile”.
La “attuale sostenibilità” e la “accettazione sociale” sono, poi, parametri da inserire in una dimensione evolutiva: non disegnano la interpretazione “vera sempre”, ma l’interpretazione “vera oggi”.
In questa cornice, credo, si possa collocare il protocollo Sindacati/Imprese 14 marzo 2020, catalizzato dall’attività del governo.
Questo protocollo si autodefinisce “condiviso” e questo evidenzia che rappresenta un provvedimento “socialmente accettato” e, perciò, un bilanciamento sostenibile e “sostenuto” dalle parti interessate.
Pertanto, proprio per questo, il paragrafo 2 del “Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” rappresenta il parametro rispetto al quale devono essere adattate le altre norme. E non viceversa. È l’unico modo, ritengo, per superare lo sconcerto che, ripeto, condivido in pieno per un pasticciaccio. Ma dobbiamo rimediare a questo pasticcio dal “basso” con le interpretazioni, senza aspettarci molto dal legislatore, da chi dovrebbe fare (e non fa) la regola certa e chiara. E, poi, non abbiamo, ovviamente, il tempo di aspettare una sentenza di un giudice.
Comprendo che è una inversione logica, ma c’è una operazione ermeneutica possibile.
La possibilità può derivare da questo ragionamento.
Ci si riferisce, ovviamente, a titolari diversi dagli organismi sanitari e dagli esercenti sanitari o da quelli della protezione civile, e per tutti i soggetti per cui è intervenuta una norma ad hoc (art. 14 del d.l. 14/2020).
dunque, l’articolo 9, par. 2, lett. g) del Gdpr individua la seguente base giuridica:
- trattamento necessario per motivi di interesse pubblico rilevante sulla base del diritto dell'Unione o degli Stati membri, che deve essere proporzionato alla finalità perseguita, rispettare l'essenza del diritto alla protezione dei dati e prevedere misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti fondamentali e gli interessi dell'interessato;
Questa norma si riferisce anche a tutti i titolari di trattamento, anche del settore privato, ed evidenzia i seguenti elementi:
- motivi di interesse pubblico rilevante;
- una base nel diritto europeo o nel diritto nazionale;
- base giuridica proporzionata;
- rispetto dell’essenza del diritto alla protezione dei dati;
- previsione di misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti fondamentali.
A questo punto si deve considerare il considerando 41:
(41) Qualora il presente regolamento faccia riferimento a una base giuridica o a una misura legislativa, ciò non richiede necessariamente l'adozione di un atto legislativo da parte di un parlamento, fatte salve le prescrizioni dell'ordinamento costituzionale dello Stato membro interessato. Tuttavia, tale base giuridica o misura legislativa dovrebbe essere chiara e precisa, e la sua applicazione prevedibile, per le persone che vi sono sottoposte, in conformità della giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea (la «Corte di giustizia») e della Corte europea dei diritti dell'uomo.
Ci si deve chiedere, a questo, punto se il Protocollo Condiviso citato possa assumere a base giuridica, nei termini sopra esposti.
Per rispondere affermativamente, si rammenti che tale Protocollo è stato sottoscritto in attuazione dell’articolo 1, comma primo, numero 9), del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 marzo 2020:
9) in relazione a quanto disposto nell'ambito dei numeri 7 e 8 si favoriscono, limitatamente alle attività produttive, intese tra organizzazioni datoriali e sindacali.
A sua volta il DPCM citato si basa su presupposti normativi.
Stando così le cose, il percorso “privacy” da seguire è da limitare, per quanto riguarda i dati particolari, a questi passaggi:
a) art. 9, Gdpr
b) Dpcm 11/3/2020
c) Protocollo Condiviso.
Tale complesso normativo è da valutarsi quale sistema da sé sufficiente, in quanto normativa speciale, seppure, anzi proprio perché contingibile e urgente.
Ovviamente sono da considerare con scrupolo e meticolosità tutte le precauzioni elencate nelle note n. 1 e n. 2 del punto 2 del Protocollo Condiviso e di quelle di sicurezza, solo evocate e che gli interlocutori di questo dibattito hanno concordemente evidenziato.